Intervista a Cristina Rigman, presidente uscente del Centro europeo per il volontariato: “Dobbiamo potenziare il volontariato nell’agenda europea perché l’avanzata delle destre sta penalizzando l’attivismo e le associazioni che si occupano di diritti”
02 Settembre 2019
“Il mondo sta cambiando, l’Europa sta cambiando e anche noi dobbiamo cambiare per mantenere il volontariato nell’agenda delle istituzioni europee e per aiutare le nostre organizzazioni. Perché in alcuni paesi gli spazi di manovra si stanno restringendo e noi dobbiamo potenziare i volontari per aiutarli a mantenere la loro libertà di associazione, per continuare ad essere volontari”. Esperta di sviluppo delle organizzazioni e di non profit, la rumena Cristina Rigman delinea il futuro del terzo settore nel vecchio continente. Ancora per qualche mese sarà lei la presidente del Cev, il Centro europeo del volontariato, che guida da quattro anni e il cui consiglio direttivo si è riunito a Cagliari il 27 e 28 agosto scorsi.
A volere il meeting nell’isola è stato Giampiero Farru, presidente del Csv Sardegna Solidale e dall’ottobre di due anni fa unico componente italiano nel board del Cev. “A Cagliari abbiamo parlato delle nuove sfide che attendono il volontariato e abbiamo iniziato a delineare il piano strategico per i nostri prossimi dieci anni di attività”, spiega Rigman in un fluente italiano, imparato guardando da giovanissima i nostri canali televisivi dopo la caduta della cortina di ferro. Il Cev rappresenta oltre sessanta organizzazioni di ventinove paesi e ha come compito principale quello di collegare il mondo della solidarietà alle istituzioni europee. Oggi il 19 per cento dei cittadini europei svolge un’attività di volontariato.
Presidente Rigman, come ha iniziato ad occuparsi di volontariato?
“Ero una studentessa di scienze politiche a Cluj-Napoca e ho visto il manifesto di una ong che cercava collaboratori e così mi sono proposta. L’anno seguente la “Pro Vobis” è diventata il primo centro di volontariato della Romania e con loro ho lavorato per quattordici anni. Ho seguito soprattutto il progetto di sviluppo per la nascita di centri di volontariato nei piccoli comuni. Contemporaneamente, ho fatto la volontaria per l’associazione “Pro Democrazia”, andando nelle scuole a spiegare ai ragazzi che si apprestavano a votare per la prima volta l’importanza del momento che stavano per vivere”.
Quanti tipi di volontariato esistono in Europa?
“Mille! In ogni paese il volontariato può essere molto differente. A mio avviso, però, ovunque ogni volontario agisce seguendo le proprie convinzioni, senza un interesse diretto personale e senza una remunerazione economica. Ciò che i volontari devono guadagnare sono amici, esperienza, contatti, competenze, opportunità di sperimentare la diversità. Ho visto persone giovani ed anziane che sono uscite la prima volta dalla Romania grazie al volontariato. Ed è stato emozionante”.
Qual è in Europa in modello di volontariato più avanzato?
“Risposta difficile, perché il modello migliore è quello è quello che meglio si adegua al territorio. Noi tutti guardiamo al nord e pensiamo, osservando le statistiche, che in Danimarca e in Svezia il volontariato sia migliore che altrove. Ma quel modello, calato in Romania, non avrebbe gli stessi risultati. Però se dobbiamo chiederci dove il volontariato funziona bene, allora sì, la risposta è sicuramente nei paesi del nord, in Inghilterra, e anche in Italia, dove ci sono esempi virtuosi”.
Che temi avete trattato nella due giorni a Cagliari?
“Abbiamo gettato le basi per il nuovo piano strategico del Cev 2020-2029. Soprattutto dobbiamo potenziare le organizzazioni per aiutare i volontari a mantenere la loro libertà di associazione, perché in alcuni paesi questa si sta restringendo”.
Dove, esattamente?
“Penso soprattutto alla Romania, all’Ungheria e ai paesi balcanici. In generale, l’avanzata delle destre mette in difficoltà le associazioni che si battono a favore dei diritti umani e in diversi paesi ci sono organizzazioni che provano a modificare l’opinione pubblica, affermando che sui diritti umani si è andati troppo oltre e che si debba tornare ai valori tradizionali. Sì, in alcuni paesi lo spazio per le ong che proteggono i diritti umani si sta restringendo. E noi dobbiamo fare pressione presso le istituzioni europee perché questo non avvenga”.
Al nuovo parlamento europeo avete proposto le 5 R, ovvero un impegno maggiore rispetto al volontariato e riguardante Real value (vero valore), Regolamentary framework (regolamentazione), Recognition (riconoscimento), Resources (risorse) e Refugees welcome (accoglienza). Come sono state accolte?
“Ancora è troppo presto per avere le prime reazioni. Abbiamo piuttosto proposto la creazione di un intergruppo che si occupi di volontariato, in maniera da poter intervenire su temi che sono trasversali. In questo modo, l’azione dei parlamentari sarebbe facilitata, così come il collegamento tra le varie istituzioni nazionali ed europee”.
Tra le 5 R c’è quella dell’accoglienza. Un tema in cui l’Italia chiede più aiuto all’Europa.
“La questione è complessa, ma se sei un volontario pensi semplicemente che quelle persone hanno bisogno di te e le vuoi aiutare, non stai pensando alle politiche per l’accoglienza o alle risorse: aiuti e basta”.
Oggi spesso si sente dire “Noi abbiamo i nostri poveri, perché dobbiamo accogliere i migranti? Perché non lo fanno i paesi più sviluppati?”.
“Anche in Romania in tanti dicono così ma io non sono d’accordo perché ogni paese deve aiutare chi ha bisogno. Non solo: noi siano stati aiutati fin troppo dai paesi che stanno meglio di noi e ora dobbiamo assumerci la responsabilità di sostenere chi è in difficoltà. Avere inserito nel trattato dell’Ue il tema della solidarietà e poi non praticarlo non è un bel messaggio per i giovani”.
A proposito, come è possibile far avvicinare maggiormente i giovani europei al volontariato?
“I giovani hanno bisogno di sperimentare e di capire i valori di solidarietà. Sono chiamati a prendere decisioni che possono cambiare la loro vita per sempre ma spesso non sono pronti. Ecco, il volontariato può offrire loro uno spazio sicuro di sperimentazione e di decisione informata”.
Quale sarà il volontariato del futuro?
“Voglio pensare che sarà come il volontariato di sempre. Perché il volontariato è qualcosa che arriva dal cuore, a qualunque livello. Facciamo i volontari perché questo ci rende felici e perché possiamo aiutare gli altri. Questo non cambierà”.